Giornalismo imbavagliato con le liti temerarie

Quanto costa onorare il dovere di cronaca? I giornalisti toscani lo sanno bene, e i 328 che ogni anno finiscono a processo con l’accusa di diffamazione lo sanno anche meglio. Numeri sconfortanti? Pensate che nell’89% tutto si riduce a bolle di sapone e gli imputati vengono prosciolti, solo 22 giornalisti negli ultimi due anni sono stati condannati al carcere per un totale di oltre 7 anni.

L’osservatorio Ossigeno denuncia che questo atteggiamento persecutorio mette a rischio la libertà di stampa “chi pubblica notizie sgradite rischia molto anche se ha agito correttamente e detto la verità” e i numeri confermano “si spara nel mucchio con querele infondate”.

E se alla fine dell’iter giudiziario si giunge quasi sistematicamente al proscioglimento, questo non basta a riequilibrare la bilancia, del resto anche il giornalista che viene assolto con formula pienissima passa anni a dividersi tra aule, indagini e avvocati. Tanto più duro è l’affondo nei confronti di testate meno strutturate, capaci di crollare come un castello di carte di fronte ad una semplice querela. La stessa durata dei procedimenti è inoltre motivo di grande preoccupazione nel nostro paese superando di diversi ordini di grandezza la media europea.

Da parte delle associazioni di categoria si fa sempre più amara la riflessione sui ritardi dei lavori parlamentari, a partire dai quali si auspica nel più breve tempo possibile, l’abolizione del carcere per diffamazione; è necessario approdare ad un più misurato ricorso alla giustizia (e della reclusione) per evitare che azioni legali pretestuose vengano utilizzate a scopo intimidatorio.

Nel biennio 2014-2015 i procedimenti giudiziari in tutta Italia sono stati oltre 650 ma del totale le condanne sono state appena l’8%, secondo i dati ministeriali. Ma anche quando l’accusa viene giudicata infondata e viene disposta l’archiviazione del procedimento, fino alla fase preliminare il querelante non viene chiamato nemmeno a risarcire le spese legali, tutto a scapito del giornalista che pur essendo nel giusto dovrà sostenere i costi della propria difesa tecnica. Il risultato? Un querelante con le tasche profonde mette facilmente un giornalista con le spalle al muro.

E se pensate che questo sia il peggio, i dati ministeriali alla base dello studio rivelano che oltre alle liti temerarie, il mondo del giornalismo, virtuoso e non, è animato anche da ritorsioni, intimidazioni, aggressioni, e se negli ultimi anni stati 78 i casi portati dinanzi ai giudici italiani, c’è tutto il sommerso a fare davvero paura.